Le responsabilità penali in seguito ai decreti anti Covid 19

A cosa andiamo in contro dopo i Decreti anti coronavirus (Covid 19) – ecco la certificazione aggiornata al 25/3/2020 da mostrare ai controlli.

Per contrastare il diffondersi del COVID-19 occorre evitare di uscire di casa senza giustificazioni plausibili, come quelle previste dal DPCM (lavoro, necessità, salute): rimangono fermi i principi generali collegati allo stato di necessità, quale ad esempio quelle di andare a comprare beni di prima necessità, comprovate esigenze di lavoro, di andare ad aiutare un soggetto debole (un anziano, un malato) in difficoltà, ecc.

Nuova autocertificazione aggiornata al 26/03/2020

Prima di uscire, occorre stampare e compilare in ogni sua parte il modulo del Ministero dell’Interno, che verrà verificato dalla Autorità. Per chi non ha la stampante a casa il modulo può essere sostituito da un semplice foglio di carta dove ciascuno deve riprodurne il contenuto grafico e quindi inserire le proprie generalità e indicare con chiarezza il luogo di provenienza e quello di direzione oltre le cause dello spostamento (peraltro, secondo le informazioni allo stato circolanti, le stesse forze di polizia hanno la modulistica).

Le cause dello spostamento vanno sempre ricondotte a comprovate esigenze lavorative, situazioni di necessità, motivi di salute. Sarebbe opportuno che i datori di lavoro dotassero chi è costretto a circolare di una apposita dichiarazione. Tra le situazioni di necessità –si rammenti- vi è l’acquisto di alimentari: non casualmente i DPCM 8-11 marzo consentono ai negozi di generi alimentari e alle farmacie di rimanere aperti.

Se fermati per il controllo, occorre in primo luogo fornire una solida e seria giustificazione dello spostamento. Bisogna essere precisi e sinceri: una falsa dichiarazione (che può essere agevolmente verificata, sia nell’immediatezza che successivamente) avrebbe conseguenze penalistiche molto gravi (ossia la possibile contestazione della violazione dell’art. 495 c.p., che prevede pena da uno a sei anni di reclusione, oppure quantomeno dell’art. 483 c.p., falso ideologico in atto pubblico). Inoltre, non è giustificabile in alcun modo chi esca dalla propria abitazione se affetto da Covid-19 o comunque in quarantena; in tal caso si rischia ulteriore contestazione del delitto di diffusione colposa di epidemia (art. 452 cod. pen. che prevede sanzioni molto gravi).

Torniamo all’ipotesi che si sta più frequentemente verificando in questo periodo: se la giustificazione non fosse considerata adeguata dalla Polizia Giudiziaria (ma, si rammenti, anche da Vigili del Fuoco e Forze Armate, autorizzati alle verifiche, come previsto dal DPCM 8 marzo), gli operanti inoltreranno denuncia per violazione dell’art. 650 cod. pen. (o per un più grave reato –per esempio, l’assai grave “diffusione colposa di epidemia” oppure una delle violazioni previste dal Testo Unico Leggi Sanitarie); in tal caso vi consegneranno un verbale di identificazione il verbale di identificazione previsto dal codice di procedura penale: non si tratta quindi, come talora scritto sui quotidiani, di una “multa”, ma della contestazione di un reato che, nel caso dell’art. 650 cod. pen. prevede l’arresto fino a tre mesi o l’ammenda di Euro 206 che, in caso di condanna risulterà nel casellario giudiziale (la cosiddetta fedina penale) e può quindi avere conseguenze sia sul piano sociale che in ambito lavorativo.

Allorché gli operatori (Polizia, Carabinieri, Vigili del Fuoco o Esercito) redigeranno il verbale di identificazione vi chiederanno di nominare un difensore di fiducia e di eleggere domicilio (indicare dove si vuole che vengano notificati gli atti di quel procedimento penale).

Se non si indica un difensore di fiducia, verrà nominato un difensore d’ufficio: si consiglia di non effettuare l’elezione di domicilio presso il difensore d’ufficio ma, piuttosto, di farsi notificare gli atti presso la propria residenza oppure presso l’abituale dimora.

Trattandosi della contestazione di un reato, non è possibile pagare immediatamente l’ammenda perché inizierà un procedimento penale: occorre invece rivolgersi al più presto al proprio avvocato (d’ufficio o di fiducia) e consegnargli quel verbale: si apriranno le indagini preliminari e, in tale sede, il pubblico ministero potrà rivalutare le circostanze addotte durante il controllo subito.

Se il Pubblico Ministero riterrà ingiustificata la denuncia da parte degli accertatori richiederà l’archiviazione; se invece condividerà le ragioni della denuncia potrà emettere Decreto di Citazione a giudizio davanti al Tribunale oppure –più probabilmente (in caso la contestazione sia sempre quella prevista dall’art. 650 c.p.)- chiedere al Tribunale che venga emanato un “decreto penale di condanna” che, a chi lo riceve, appare come una sanzione pecuniaria, ma è comunque una condanna penalistica.

In caso di citazione a giudizio o di notifica di un decreto penale sarà sempre possibile fare valere le proprie ragioni di fronte al giudice (tuttavia, in caso venga ricevuto un decreto penale, bisognerà attivarsi con una “opposizione”, da depositare entro 15 giorni dalla notifica) oppure valutare altri strumenti previsti dalla legge; tra le varie soluzioni offerte dall’ordinamento andrà menzionata l’oblazione, prevista dal codice penale (art. 162 bis) che comporta, previo pagamento di metà del massimo dell’ammenda, l’estinzione del reato, evitando l’iscrizione della sentenza nel casellario giudiziale. L’oblazione è, si rammenti, “discrezionale”: è il giudice che può decidere, anche tenuto conto della gravità del fatto, se definire il procedimento penale con questo metodo agevole e semplificato. Un esito non sempre scontato.

Fonte Adusbef.

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